Sull'Etimologia di certa Indegna e Vomitevole Politica: più Domande che non Risposte


Angela Maria Spina

Che si debba assumere la politica come domanda perenne e complessa è certamente un fatto risaputo. Lo è meno l’impacciato sistema di potere spudoratamente spartitorio e strumentale, a cui i nostri attuali rampolli della politica nostrana, rispondono. Sono figli e nipoti di certa degenerata politica che interpreta il gioco e non già l’arte (a questo siamo arrivati!) in viso al più alto senso etimologico del termine, che intende la politica come perseguimento razionale di scopi, previo chiarire quali, fra i tanti possibili scopi può valere la pena perseguire?
Ora, nella bieca logica spartitoria del potere, basato esclusivamente sui pesi delle correnti o dei partiti, quasi a volersi misurare nella resistenza, e a surclassare la peggiore storia passata, sono stati e continuano ad essere inchiodati e crocifissi, sia il buon senso etico e meritocratico, a cui la politica dovrebbe almeno saper prestar fede; che certa logica politica “corrotta e spudorata” che fissa l’insano compromesso (ampiamente riconoscibile) assunto come simbolo disinvolto di certa politica applicata all’illogicità. È un teatrino maleodorante del “già visto” un contrito déjàvu: garantire la stabilità delle coalizioni e dei governi, assegnando a ciascuna componente una "quota" di potere, proporzionale al proprio peso, in tal modo si riducono le frizioni interne e si scongiurano scissioni o cadute di governo, dettate dall’insoddisfazione per la ripartizione di incarichi e poltrone. In questa coreografia (disgustosa) - strumento di mediocre ingegneria politica- si mantengono in piedi equilibri estremamente “complessi” tutti quasi al limite dell’umana comprensione, come ad esempio proclamarsi di sinistra, governando con la destra estrema d’Italia! Forse che all'interno dei cosiddetti partiti “strutturati” quelle che un tempo si chiamavano correnti - oggi continuano ancora - per assicurarsi tornaconti, non già come “pie” anime di partito, (in)degnamente rappresentate a vari livelli decisionali e di governo. Che sia forse questo l’indecifrabile arcano della politica nostrana? È presto detto. Personalmente penso che raffrontare idee, principi, costrutti filosofico-morali e certi giudizi concreti, sia per la politica decisamente una buona deterrenza, quasi come voler prestare orecchio ed occhio, a certo discernimento o comprensione. E volendo ancor più considerare l’interpretazione della grottesca rimodulazione della recente coloritura politica, certo non si può proprio più tacere il vilipendio e la bestemmia; al contrario si deve manifestar coraggio, persino l’obbligo del dovere di pronunciarne giudizio. Quello che per comprensibili ragioni è il più temuto da questa amministrazione, che da sempre ha scelto come proprio stile, quello a tratti sempre ostile, denigratorio e finanche diffamatorio degli avversari come degli oppositori, che rischiano di far vacillare gli instabili equilibri che soggiogano quel potere. Provando a sfruttare certa riflessività (che decisamente manca alla compagine del governo cittadino) s’interpreta così la curiosa tensione che collega tutte le domande, all’urgenza di formulare magari più gentili e cortesi risposte, giacché il domandare e il rispondere pur rinserrandosi sempre nella struttura rigida e coercitiva dell’interrogatorio, rimandano sempre al teorema che porre Domande alla Politica, non solo è lecito e dovuto, ma è dignitoso; giacché “agire per penetrare” intende - è vero- affondare le lame nel corpo dell’interrogato, ma sempre al fine di volerne estrarre verità. Il punto se mai resta dunque la risposta: cioè se dover mentire o dire verità. Ma si conviene che certa politica s’intende di prestidigitazione. Nella locale compagine politica infatti, si rincorrono solo attestazioni, in testa ad affermazioni per come e quanto è possibile ottenere, anche contrariamente a prezzo dell’incoerenza o dell’incauto pensiero unico convergente, che altro non cerca per sé, se non appoggi di sopravvivenza. Nemmeno più di fede cieca e ostinata (neanche quella ormai necessaria!) ma solo dei numeri; che male sempre fanno alla politica sincera e genuina, quella per intenderci che audacemente possiede una visione di orizzonte con prospettiva di sincera lealtà. Ma è risaputo che certi visioni fantasmagoriche presto o tardi finiscono sempre con l’accordarsi con giudizi imprudenti ed avventati; in misura maggiore quando palesano una certa ostinata e perversa avversione, per il pensiero di quell’opinione pubblica non compiacente, ma critica, che tenta di richiamarne per come può, l’ordine, che chiameremo precisamente intellighenzia pensante. Inaccettabile dunque, risulta la foga della comunicazione social (e non solo) con cui ci si rivolge a questi “avversari” marcando il solco di un’irrazionale distanza, disponibile ad essere azzerata e ripulita, solo se e quando occorre contar numeri; smentendo di fatto la stessa utilità dell’opposizione ragionevolmente necessaria, nel costrutto politico democratico delle differenze. Purtroppo quando si è costretti come me ad insegnare e spiegare (anche) la politica, risulta impossibile far cedere l’occhio nell’intricato campo di battaglia che se ne trae; giacche restano pur sempre le idee e le azioni a dimostrare e scriverne la storia. Quella per intenderci in cui si confrontano diverse visioni della natura umana e del bene, che è poi lo spazio pubblico dove gli esseri umani si incontrano o dovrebbero incontrarsi sempre, per agire insieme a definire la loro specificità attraverso la parola e l'azione. La politica appunto quella “strana cosa” intrinsecamente legata alla libertà e alla pluralità. Ed eccomi ostinatamente a voler spiegare l’attuale arcano del livello politico nostrano, del quale colgo una fastidiosissima cifra stilistica: l’arroganza. Oramai una larga piaga (sociale) molto in voga, che (anche) come stile politico continua a vegetare, ed è in salute; ma se possa tradursi forse un incauto morbo mortale (già della politica nazionale ed ancor più di quella locale) come una nuova considerevole pandemia, non è dato fin qui sapere. Di fatto è già epica narrazione l’arroganza brandita da chi governa, con inebetita disinvoltura, quella che per intenderci ci fa entrare ed uscire dalla storia, quasi fosse una ruota panoramica, facendo rivivere certe ere in cui agire l’arma del potere contro i propri sudditi - e non già i cittadini - era atteggiamento lecito. Oggi col supplemento dell’arma del consenso, reale o fittizio (quello conta poco!) ma tanto basta per sentirsi in diritto di fare, dire e agire, come se, a noi altri meschini cittadini di questa infelice latitudine, fosse concesso solo di essere d’intralcio o di ostacolo, con l’epiteto d’incolti e succubi villani, senza alcun diritto alla critica, interpretazione e soprattutto il dissenso. Solo perché le (squallide) sedute dei consigli comunali vanno deserte, non vi credete in diritto di agire come fossimo quei sudditi!… Lo status di cittadini, ad oggi abbiate almeno in animo di farcelo salvo, dato che comprendiamo fin troppo bene il grave dolo a vostra colpa, a voler mantenere certa coesione interna, solo per l’automatismo degli ingranaggi, nella crudele verità del vostro fallimento. Tanto che illudere ogni sensibilità politica e sociale - come parte di questo (degenerato) processo decisionale - non è servito se non per smontare l’aura massima del “gusto del segreto” assediato da più parti, con critiche, lettere, appelli e pubbliche implorazioni. La verità è che malgrado le più fulgide speranze, riuscite sempre a debordare spropositatamente. Cosa da far notare ai sostenitori di pura fede partitica, (per intenderci la fanatica claque delle inaugurazioni) proclamata come unica e sola forma di "democrazia interna" perfettamente funzionale solo alla distribuzione delle poltrone. Per questo vorrei eccepire: NON è questa la politica che vogliamo, vomitevole e disgustosa come la state realizzando. Qualcuno di mia vecchia conoscenza era solito dire, che l’arroganza è il peggior cappello che si possa portare in testa, forse perché perfettamente riconducibile all’incauto corredo dell’ignoranza. Esattamente quella a vari livelli in corso, (anche) di certa politica spocchiosa e urticante; che in viso alla buona educazione ed al rispetto, veste l’abito migliore dei nostrani “politicanti” di questa latitudine. Persone poco accorte al bene collettivo, ed al locale accrescimento e sviluppo culturale; che intendono glorificare più loro stessi e i propri fedeli accoliti, con le declamazioni di misera intelligenza politica e meschina visione del reale (non risparmiandosi finanche brutte figure a iosa). Sicché a mio modesto modo di vedere Arroganza e Ignoranza, hanno stretto un patto scellerato. Certamente è più Brutta cosa l’arroganza che non l’ignoranza, se quest’ultima sa di essere assunta con la benevola umiltà, di chi la intende arginare e superare. L’altra invece no, resta pur sempre vile e fine a sé stessa. Dopotutto “arrogare” cioè attribuirsi, e pretendere ciò che non è dovuto, ha derivazione latina di più lungo corso (chiedere, attribuirsi) composto da “ad -” (a) e “rogare” (chiedere). È dunque proprio l’origine giuridica a marcarne quindi l’espressione e ad indicarne la richiesta e l’appropriazione, su ciò su cui proprio non ci si dovrebbe vantare. Infatti dal diritto (aristocratico) romano di arrogare si dovrebbe invece assumere il pieno significato del “domandare al popolo”. Pertanto il verbo assumerebbe significato di grande importanza, per l’esattezza del suo significato, e per la sua fertilità, qualora e se opportunamente applicato. Difatti ciò che solitamente si trova usato nella forma riflessiva dell’arrogarsi” diventa significato che si avvita naturalmente sul soggetto stesso. Quindi pretendere di attribuirsi qualcosa che non è dovuto o che tecnicamente non spetterebbe, è sempre una virtù meschina. Pertanto anche il più comune significato del mi arrogo il diritto di dire la mia in questa questione, rischia di esser giudicato come in questo caso, una rivelazione negativa, indegna, e sin anche scandalosa, che tutti farebbero bene a ignorare, facendo finta di non sapere. Ignorare i problemi dopotutto è quasi come comprenderne e indagarne le ragioni profonde e non di superficie; ma nel paese della gerontologia, è almeno utile quanto tacere e rimuovere certe verità scomode. In questi tempi difficili, oserei dire feroci, in cui abbiamo imparato che nelle cose che facciamo bisogna metterci sempre testa, cuori e non già solo vuote presenze; magari col fare politica buona, si finisce - per lo più - col sacrificare veramente solo la propria esistenza - ancor più quando privi di reconditi fini e altri benefici - si dovrebbe poter continuare a dire solamente la verità; senza essere inclini ad oscillare tra l’angelica idiozia di Forrest Gump e la scontrosa sincerità del burbero Alceste (il misantropo dell’omonima commedia di Molière) o l’indifferente sadismo di un “dottor Mabuse” di stampo filosofico, che la trasformerebbero letteralmente in un inferno. Difatti la politica buona oggi non sono più disposti a farla in molti. Dopotutto siamo nell’era consumistica dell’utilitarismo spinto e anche privo di etica e morale. Dovremmo invece rivalutare l’esatto significato del fare politica come dono della cura, della dedizione e della considerazione per gli altri. Dovremmo rivalutare soprattutto i portatori sani di domande, quelli che oggi rappresentano il vero atto sovversivo e ribellistico di pietà, verso noi stessi e questa grema comunità, travolta dall’insolito destino di una piena crisi identitaria. Le Domande si sa sorgono da questa necessità patita, che NON riesce proprio a (re)inventare un nuovo modo di guardare a diversi orizzonti politici ma soprattutto culturali; impantanati come siamo all’ordinaria gestione amministrativa da “pio borghetto”. Impoveriti come ci sentiamo nella nostra identità di cittadini acritani, del tutto privi di un’adeguata e degna offerta culturale che sappia stimolarci e farci crescere; in grado cioè di saper accogliere la complessa sfida di emancipazione, capace di far evolvere Acri e tutti gli abitanti di questo immiserito territorio, sistematicamente mortificato e asfissiato in nome di interessi precisi, che fatto strano, non fanno mai rima con identità e comunità. L’Incapacità ed il fallimento di questa amministrazione e classe politica è nel NON volere proprio ascoltare i gemiti della diffusa insoddisfazione e del malcontento; di non sapersi mettere in ascolto dei bisogni di questo territorio, con orecchi nuovi, ma ancor più che sordi, ostili allo stesso battito del cuore acritano. Acri e i suoi cittadini invocano ancora il miracolo del proprio reale cambiamento, quello promessoci puntualmente ad ogni campagna elettorale e vilmente tradito anche dai più audaci pittori di nuvole. Dopotutto i miracoli sono scatto di dignità ed orgoglio, di operosa buona volontà, di ostinata determinazione, che presuppongono un processo strategico incisivo e profondo che va ben oltre la stesura di un programma elettorale o la definizione di strategie di comunicazione. Si tratta infatti di un'attività complessa e continua, che punta a costruire e diffondere un sistema di valori, idee, narrazioni e simboli, capaci di dare senso e legittimità alle azioni politiche, rendendole comprensibili, desiderabili e soprattutto condivisibili per ampi strati della nostra società. Non si tratta dunque solo di "cosa" si vuole fare, ma del "perché" e "come" lo si vuole fare, radicando l'azione in un orizzonte di senso più ampio e culturalmente vivace. Si tratterebbe così di determinare innovazione qualitativa, che punterebbe - a barra dritta -verso la qualità della vita di noi cittadini, e dei servizi che ci servono, per reinventare il nostro futuro e quello di tutta Acri. Acri deve saper riconoscere e riscoprire la propria identità collettiva, ad oggi confusa e smarrita, per riappropriarsi dell’afflato Politico più nobile, quello cioè in grado di rispettare le aspirazioni comuni, per non indulgere a reiterate perdite di tempo e per sperare di poter così entrare in connessione e relazione con problemi e le questioni urgenti e non, la cui caratura principale resta essenzialmente quella culturale. È dunque questo il segno riconoscibile di certe serrate critiche che tanto vi agitano? L’intelligenza però non dovrebbe mai indulgere ad assoluzioni, giustificazioni di comodo, né parvenze di facciata; ma invocare e richiamare soluzioni: maturità, senso del dovere e onestà intellettuale. Tutti sappiamo che la paura è il filtro peggiore con cui fissare la realtà, che la paura distorce, falsa, e ci rende implicitamente ostili; crea fantasmi e nemici da abbattere, da intimidire o ostacolare, se la posta in gioco è l’interesse privato in luogo pubblico, è indubbio poi che viene meno l’interesse della comunità, divorati come ci si sente sempre per qualcosa: ansie, paure, angosce più o meno latenti, magari anche qualche senso di colpa, che smentisce e contraddice la teoresi più che la declamata azione pragmatica, che ad oggi però ancora non è stata capace di distogliere lo sguardo dalle inaugurazioni dei palchetti, per concentrarla finalmente sulle offerte qualitative e i servizi per noi cittadini. Nel mentre le cose del mondo stanno scrivendo la vostra storia politica. Forse esattamente per questa ragione dovreste riappropriarvi della vostra più sana umiltà, per raccogliere tutte le migliori delle parole, e persuadervi che il vostro fallimento; dell’abortito processo culturale che ci avete propinato vivendo alla giornata tra un’inaugurazione ed un sollazzo: incapaci quali siete stati di disincagliare quel progetto e spiegarne le vele al vento. Doveste invece trovare parole di misericordia, per accogliere. Parole di solidarietà per comprendere le ragioni di tutti, anche quelle delle opposizioni, dei dissenzienti e delle voci dissonanti e critiche; ed in un sano bagno d’umiltà chiedere invece scusa ai cittadini acritani per non averli saputi adeguatamente coinvolgere e stimolare a seguire la (vostra) immonda politica e le più indegne rappresentazioni da vera commedia dell’arte drammatica, dei consigli comunali. Dovreste se possibile chiederci Scusa per la frotta di scelte scellerate impopolari e contro mano, commesse, in astio ai cittadini, per mera immonda arroganza e supponenza, che qualche lustro fa avrebbero meritato, solo per questo, proficue e sane dimissioni e ben altre (ri)soluzioni. Così tanto da poterci rendere un barlume di più fulgida speranza nella correttezza resa carne, azione e soprattutto atto di vera leale politica. Confucio che non lesinava certo in saggezza, considerava “La meschinitàpreferibile all’arroganza” tanto gli risultava grande il cagionevole danno che attraverso l’arroganza s’infligge a noi stessi, e agli altri. Esattamente con questa stessa attitudine, dovreste (ri)definire quel senso di spocchiosa superiorità, della vostra politica mediocre e vile, che guarda ai propri interessi e non a quelli dei vostri concittadini, specie se le manifesta il costante disdegno in un’irritante altezzosità, che in politica è decisamente cifra ributtante. L’arroganza del potere è inaccettabile di per sé stessa, sprezzante e talora violenta quell’attitudine che si dimostra incapace di accogliere e rielaborare suggerimenti, proposte, richieste. Ad Acri occorre una politica più umile e servizievole, che non sia in carenza d’ossigeno di cultura e di sano senso critico. Ad essere arroganti ed innervosirsi si dimostra vuotezza; altrimenti si rimedierebbe in ciò che c’è di deficitario. L’arroganza è la manifesta spacconaggine di invereconda millantata superiorità, che altro significato non possiede se non esser diventati succubi delle situazioni, magari (anche) perché si continua ad arrancare. Eccola la cifra stilistica della nostrana politica locale, decisamente vuota, assolutamente priva di contenuti da elaborare culturalmente; grondante com’è di certa retorica ridondante del bla bla bla; falsa e ipocrita, espressione di una politica che è specchio di una realtà poverissima intellettualmente, che si ritiene di voler far restare nel proprio stato di minorità, malgrado venga fatto apparire come reale il contrario, e si viva il continuo stato di negazione e sopraffazione. È tutto un grande morbo camuffato. Questo è il significato profondo dell’arroganza, qualcosa di marcio, presentato come qualcosa di bello e stabile, ma in realtà è l’opposto. Ecco perché il più delle volte, gli arroganti indispettiscono perché forse non ce la fanno neanche più loro stessi a non sostenere la farsa del contrito “bene comune” e tentano di trascinare con sé solo certi malcapitati attorno. La politica non è mai stata una teoria astratta, ancor meno dovrebbe esserlo oggi. Oggi che dovreste saper dimostrare una spiccata fede al vero ed un onesto impegno; oggi che voialtri non dovreste più difendere personalismi o interessi di parte, ma altresì perseguire l’autentica nuova tensione al cambiamento, come vero atto politico generativo. La politica, la buona politica, si sa dovrebbe saper guardare lontano, dovrebbe saper accogliere le domande, i suggerimenti e forse ancor più le critiche, analizzando e promuovendo proposte, traducendo ed elaborando culturalmente segnali, per evitare la degenerazione in banalità ed omologazione. In fondo la vera cultura è quella del rispetto e dell’attenzione alla critica, non quella che punta al mero successo omologato; è quella che dovrebbe saper tradurre i conformismi, e adesso non riesce proprio a farlo. NO. Infine la vera domanda è: che fine hanno fatto gli intellettuali e le teste pensanti di questo tessuto sociale? Perché non si ode alta la loro voce? Quali proposte elaborano per intercettare il degrado politico-culturale di Acri? Forse che questo degenerato potere abbia “ceduto” molte delle cariche, per il loro silenzio? Acri ha bisogno di sano criticismo come l’ossigeno, abbiamo bisogno di Donne e Uomini critici, forse anche temerari, che sappiano rifondare l’etica politica, raccogliendo quel che resta in vita del senso del vero saper fare politica per la comunità. Abbiamo bisogno di una idea culturale di politica da cui siamo lungamente orfani; idea che potremmo ritrovare fuori dalle strumentali divisioni utilitaristiche, per una rifondata collaborazione identitaria, uniti nell’unica fede possibile, quella verso un futuro di miglioramento per Acri e i suoi Cittadini. Visione che sfidi le leggi di questa insana politica iraconda, e risponda all’insana arroganza e della supponente autorità in corso. Abbiamo bisogno di non ridurre più la comunicazione politica a mero strumento di potere a senso unico. Criticare, giudicare i politici, e con essa la società stessa, è un gesto di profondo rispetto verso noi stessi, che forse per questo è giustamente diventato atto sovversivo. Ecco perché il pensiero libero a tutte le latitudini, oggi viene perseguito e vilipeso, ed è fin troppo chiaro il suo disconoscimento come pensiero divergente, ancor più quello dell’intellettuale con ruolo etico e civile, che deve irrinuciabilmente, porsi al servizio della società cittadina e dell’affermazione della giustizia e verità. |
PUBBLICATO 16/07/2025 | © Riproduzione Riservata

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