RELIGIONE Letto 2668  |    Stampa articolo

Sempre oltre e altro

sac. Sergio Groccia
Foto © Acri In Rete
La parabola dell’amore sovrabbondante, filo conduttore di questa pasqua, suo mistero, suo fulcro e suo luminoso centro, fin dalla domenica delle palme, ci guida alla piena comprensione dell’evento che fonda, alimenta e sostiene la nostra fede: la passione, morte, risurrezione del Signore Gesù.
La pasqua altro non è se non l’epifania, la manifestazione fulgida e certa di quanto grande, infinito, immenso, caparbio, tenace, trabocchevole e sconfinato sia l’amore che, in Cristo, Dio ha mostrato per noi e continuamente nutre per l’intera umanità. Agli albori della settimana santa, nella celebrazione della domenica delle palme, ascoltando il racconto della passione nella versione dell’evangelista Marco, si coglie, nel gesto furtivo eppur efficace di una donna che unge il capo di Gesù con un balsamo prezioso, gesto non necessario, ma dettato dalla gratuità dell’amore, l’annuncio che stavano per cominciare giorni nei quali l’amore gratuito ed estremo si sarebbe reso visibile e concreto nei gesti di Gesù, nelle sue scelte, nella logica che avrebbe presieduto a ciò che egli avrebbe detto e fatto nelle ultime ore della sua vita.
Nella lavanda dei piedi, gesto dell’amore umile e servizievole, da vivere nel giovedì, si intravede l’anticipazione profetica di ciò che Gesù da lì a poco avrebbe offerto in segno di amore estremo per la vita del mondo: il suo corpo, il suo sangue, tutto se stesso senza riserve.
Appeso al legno della croce egli diviene sigillo di un amore folle e incondizionato. Dal crudele patibolo grida il suo canto d’amore per un mondo che Dio ha tanto amato da preferire il mondo stesso alla vita del Figlio suo unigenito.
Nel venerdì più santo dell’anno, giorno del grande dolore, dell’estremo abbandono, dello sconcertante e assordante silenzio, nelle ore in cui Cristo compie la sua definitiva, radicale offerta di sé, il racconto della passione secondo Giovanni, ci fa comprendere che il dono più grande del Figlio non è stato il sacrificio della sua vita fisica, l’offerta di un corpo martoriato che prende su di sé le nostre colpe, quanto l’averci fatto dono, attraverso il suo amore crocifisso, della sua stessa anima, della sua vita intima, di quello Spirito divino che in lui abitava in pienezza e che è Spirito del Padre, Spirito d’amore, Spirito di comunione e di pace, Spirito che è Signore e dà la vita.
Nel suo ultimo respiro, reclinando il capo Gesù consegnò a noi lo Spirito Santo, effondendolo nel cuore di ogni uomo perché l’uomo fosse rinnovato e dallo Spirito potesse rinascere e nello Spirito potesse rivolgersi al Padre come un vero figlio.
La misura alta dell’amore, il dono supremo che supera ogni limite e ogni immaginazione è il dono della vita divina che dalla croce Cristo ci offre: anche noi partecipi della natura divina, vertiginoso vertice cui ci conduce l’amore.
E la parabola dell’amore vertiginoso e folle, della carità totale e sconfinata parrebbe potersi concludere qui.
Qui la carità del Cristo parrebbe giungere fino all’orlo.
Qui tutto sarebbe compiuto.
Qui tutto finito.
Ormai non resta che un cadavere, un sepolcro, una pietra a chiuderne l’imboccatura.
Tacita, invisibile, immobile, si erge la morte. Dinnanzi ad essa, per gli uomini tutto è finito, non c’è più nulla da fare.
Per le donne invece non tutto è finito, c’è ancora da fare. C’è un estremo servizio d’amore e di compassione da compiere: l’unzione funebre.
Se i discepoli si disperdono e abbandonato tutto, per le donne c’è ancora una presenza da assicurare. Più fedeli degli uomini, le donne restano attaccate al loro Signore anche oltre la fine, forse perché solo le donne sanno che più forte della morte è l’amore.
Esse attendono che passi il sabato e alle prime luci dell’alba si dirigono con unguenti e aromi al sepolcro. Ciò che cercano non è un cadavere sigillato in una tomba, ma come annota l’evangelista Luca “il corpo del Signore Gesù” che deve ancora essere unto perché si rallentino nel suo corpo gli effetti della decomposizione. E’ un estremo atto d’amore verso colui che esse non potranno mai smettere d’amare.
Al loro estremo gesto d’amore corrisponderà il dono inatteso, il dono che supera ogni aspettativa, il dono che colma la misura di un amore sorprendente.
Ad attenderle al sepolcro ci sarà lo stupore di una ennesima, superlativa rivelazione, un dono d’amore che proviene da oltre la morte, che sorge impetuoso dalle viscere della terra e che farà traboccare le anfore già colme dell’amore del crocifisso.
Non troveranno il corpo del Signore, ma saranno rinviate alla Parola.
Sì, alla Parola: “Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea…ed esse si ricordarono delle sue parole” (Lc 24).
Sì, è la Parola del Signore, il dono eccedente, il dono perenne, mai compiuto, mai finito, sempre e ovunque disponibile.
Il luogo della memoria del Cristo, non sarà un sepolcro, ormai vuoto; luogo della memoria sarà la Parola da custodire nel ricordo vivo e fidente, da riportare costantemente sul cuore, da gridare dai tetti in ogni istante.
E si converte la direzione del corteo delle donne: se alle prime luci dell’alba andavano, meste, con aromi verso la tomba, ora liete corrono ad annunciare la Parola di vita agli undici.
Non trovando più il corpo morto di Gesù, si dirigono verso il corpo vivo del Cristo: l’assemblea dei credenti.
Loro per prime intuiscono che la Chiesa, dal giorno di pasqua è divenuta il corpo vivente del Cristo. Esse comprendono che il corpo da ungere ed amare è il corpo vivo di Gesù, la sua chiesa. Esse profetizzano che il corpo da ungere e consolare è il corpo prostrato e umiliato di ogni uomo in cui il Cristo vive.
Loro per prime intuiscono che il luogo della memoria è la chiesa ove risuona la parola del maestro, ove sempre viene intonato l’annuncio di pasqua di una morte incapace di ingoiare la vita.
La misura dell’amore che dona senza misura non era ancora giunta al suo definitivo epilogo.
La Parola, la Chiesa, i fratelli, sono i doni del Risorto che, lasciando vuoto il sepolcro, ricolma i cuori dei segni della sua rinnovata presenza: la Parola, la Chiesa, i fratelli.
Ecco perché ogni qualvolta la comunità dei credenti annuncia e custodisce la Parola e accoglie ogni uomo come fratello è pasqua… e l’anfora dell’amore trabocca come un fiume inarrestabile fino a quando l’impeto della sua piena ci condurrà tutti fin sopra la soglia del cuore del Padre a scrutare il mistero di un amore abissale, e tutti, ci riscopriremo ad alimentare l’incontenibile rogo della pasqua eterna.

PUBBLICATO 05/04/2012

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