Diritto di replica. Gay Pride. No all’odio e all’omofobia


Michele Vincenzo Branca

Il presente scritto ha lo scopo di rispondere all’ articolo di Gaia Bafaro e pubblicato da Acri In Rete nonché fare una richiesta rivolta alla redazione di Acri In Rete stessa.
Ritengo che l’autrice abbia fatto un’accozzaglia di pensieri, abbia espresso odio gratuito e frasi che avvertono il lettore di certi scenari apocalittici che sarebbero degni della trama del miglior film di fantascienza hollywoodiano. Vorrei focalizzarmi sulla natura delle espressioni utilizzate dall’autrice che rasentano (tangono) i deliri di coloro i quali non hanno ancora realizzato che, dal periodo buio della storia italiana in cui le persone non avevano la possibilità di esprimere se stesse e il proprio modo di essere, sono passati ottant’anni o poco più. L’intento dell’autrice di dette espressioni pare essere solo ed esclusivamente quello di trasudare odio – con una buona dose di paura – e bollare come non normale come assurdità qualsiasi modo di vivere la vita che sia diverso dal proprio: normalità, concetto questo ricorrente nel fiume di parole della Bafaro. Il Pride non è una spettacolarizzazione della propria sessualità. Sono molti coloro i quali, da appartenenti alla comunità LGBTQIA+, si sentono esclusi dalla società, non accettati per via di persone che, con i propri pensieri e la propria opera, non fanno altro che peggiorare la loro condizione vessatoria – fenomeno, questo, diffuso specie nel sud Italia (e anche nella nostra cara città di Acri!). Il Pride è un’occasione per permettere a queste persone di sentirsi parte di un gruppo. Di sentirsi meno soli. Di venire a conoscenza di realtà di inclusione, in cui la cattiveria e la paura del diverso non trova spazio. Che esistano eccessi anche in occasione del Pride ne si è consapevoli, ma da quand’è ch’è buona norma fare di tutta l’erba un fascio? Se si vuole contestare lo si faccia pure, ma con senno e calma, senza insinuare pretenziose attività sovversive o ledendo l’immagine altrui con insulti più o meno velati. “Viva i principi morali”, dei quali coloro i quali seguono i precetti di un odio indiscriminato che prende il nome di omotransfobia sono chiaramente scevri, accecati dalla rabbia nella loro accanita invettiva verso gli individui che rappresentano un “prodotto della civiltà malata che ci attanaglia con i suoi strampalati mostri”. Ribadisco: “mostri”. Come può un individuo arrogarsi il diritto di definire tali esseri umani che hanno pari dignità alla sua? Come può un individuo permettersi di definire “sterco” le idee e le credenze altrui? Alla luce di tanta, troppa meschinità, faccio ora un appello all’intera comunità acrese. Credo fermamente nel fatto che non ci sia materiale possibilità di cambiamento se non vi è un’attiva partecipazione da parte dei più, delle masse. Un individuo che ha fatto propri gli ideali di tolleranza, rispetto dell’altro non può rimanere fermo e immobile di fronte a tanta fobia, perché di fobia si tratta. Si prendano provvedimenti, subito, affinché si mostri che sono presenti, nel territorio, persone che hanno ben chiara quella che dovrebbe essere la tanto anelata normalità, che di certo non contempla la presenza di discorsi come quello della Bafaro. Ritengo, inoltre, doveroso chiedere che la redazione di Acri In Rete stessa prenda le distanze dal famigerato articolo poiché viviamo in una democrazia e ognuno ha la possibilità di esprimere i propri pensieri, certo, ma l’incitazione all’odio è un reato e, se non sono incitanti all’odio le parole della Bafaro, non so quali potrebbero esserlo. Al di là delle possibili implicazioni legali, l’intolleranza non può, non deve avere spazio nelle fila della redazione di un notiziario. Per concludere, invito caldamente tutti gli interessati – e la Bafaro in primissima istanza – a prendere parte al Pride che si terrà a Cosenza in data 22 luglio: la si prenda come occasione per vedere all’opera i terribili “mostri”. |
PUBBLICATO 20/06/2024 | © Riproduzione Riservata

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